The Swan Song
A Ghost Story
Uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro delle intelligenze artificiali.
Questa collezione di dipinti intende suscitare, nell’animo di chi la osserva, un invito al dubbio: può l’Arte Pittorica sopravvivere alla luce oscurante emanata delle Intelligenze Artificiali?
Che senso ha, infatti, armarsi di pennello e tavolozza e dedicare settimane o mesi ad un lavoro pittorico quando, con pochi click e in alcune decine di secondi si può ottenere un’immagine dall’impatto visivo altrettanto efficace, con le caratteristiche formali e cromatiche che desideriamo, e in linea di massima priva di difetti?
Proviamo, per un momento, a complicare il problema piuttosto che semplificarlo, e dedichiamo qualche riga a riflettere su cosa si intende per ‘Arte’. Personalmente ho sempre inteso l’Arte come un varco attraverso cui poter accedere ad un contenuto, quasi sempre inconscio e magmatico, che non è possibile esprimere in nessun’altra forma. Concordo, quindi, con chi sostiene che se qualcosa può essere espressa in parole (o in qualsiasi altra forma espressiva non pittorica) non vale la pena dedicata a dipingerla. Con ciò non intendo sostenere che di fronte a un dipinto non sia importante parlare, discutere, interpretare, ma tuttavia il messaggio di un dipinto che sia anche Arte è proprio quel segreto che le parole possono sfiorare, indicare, rincorrere, ma mai cogliere in pieno, nella sua profondità.
Questo perché l’inconscio parla a noi con gesti e simboli che, nella gran parte dei casi, non siamo in grado di riconoscere; e tuttavia quando questi gesti e questi simboli si trasformano in colori, pennellate, forme, luci, ombre, visioni, perfino errori (che naturalmente non sono mai tali), quando insomma si trasformano in un dipinto, abbiamo raccolto quei messaggi in bottiglia dall’oceano interiore e li abbiamo portati alla luce: possiamo leggerli nelle trame di una tela.
E non solo chi dipinge, primo lettore di un messaggio inedito proveniente dai meandri più reconditi del sé, può accedere a tutto questo; anche l’osservatore può rispecchiarsi in questo magma e riconoscere qualcosa di inesprimibile, una corda così profonda che lui stesso non aveva finora ancora pizzicato e che adesso risuona in un’ eco interiore che, in una lingua sconosciuta, prova a dirci che non siamo soli.
Penso che questa ‘goccia di splendore’ possa essere distillata solo attraverso la manipolazione, composizione e visione personale, e che pertanto un’immagine ottenuta attraverso un sistema computazionale iterativo e autocorrettivo come quello delle IA generative ne sia sostanzialmente priva.
L’immaginazione umana tende generalmente a creare nuove immagini pescando dal nostro mare interiore popolato di ricordi, suggestioni e archetipi. Analogamente le Intelligenze Artificiali, accedendo ad un immenso database di fotografie, dipinti e immagini reali per generarne di nuove, sembrano possedere il dono dell’immaginazione ma non quello della poesia, del segreto tanto caro a Ungaretti: il porto sepolto degli ermetisti non è nel cloud. Poiché questo database è condiviso e continuamente rifornito da milini e milioni di utenti ogni giorno, l’immaginazione di cui parlo, per le IA, diviene molto vicina a ciò che generalmente intendiamo quando parliamo di immaginario collettivo.
È dunque una tendenza ad andare oltre il pensiero computazionale ciò che distingue l’uomo dalla macchina. Eppure l’uomo si è dimenticato di possedere questa componente metafisica, l’ha addormentata in un vortice frenetico di automatismi e preconcetti che, come una zavorra, si sono sempre più cristallizzati nel cuore dell’uomo. Per questa ragione ciò che produce un’intelligenza artificiale ci sembra così simile a ciò che potrebbe essere realizzato da altri esseri umani: non sono le IA che realizzano contenuti sempre più vicini all’uomo, è invece l’uomo a divenire sempre più simile ad un’intelligenza artificiale, un automa che si trascina meccanicamente e inconsapevolmente nel mondo, dimenticandosi di sé stesso e della vita che permea l’Universo.
Non vi sembra che in tutto ciò vi sia alcunché di diabolico? Se è questo ciò che avete pensato non vi siete poi così discostati dalla visione di Padre Gabriele Amorth. Il celebre esorcista della diocesi di Roma infatti descriveva il demonio come un’entità iper razionale, che pur non conoscendo il futuro potrebbe prevederlo con la massima attendibilità poiché, come un computer con un’immensa capacità computazionale, sarebbe in grado di elaborare miliardi di dati contemporaneamente ed estrapolarli per prevedere ciò che dovrà accadere.
Stiamo quindi demonizzando le intelligenze artificiali? Nemmeno per sogno! Credo invece che queste, se adoperate con la giusta dose di consapevolezza rispetto ai limiti di cui sono intrinsecamente costituite, possano rappresentare uno strumento rivoluzionario, incrementando in maniera smisurata le potenzialità dell’uomo nell’ambito delle arti e dei mestieri che a lui competono.
In particolare nell’ambito delle arti grafiche siamo ad un punto di svolta, proprio come quando più di 200 anni fa la pittura dovette fare i conti con l’invenzione della macchina fotografica. In quel momento i pittori sono stati costretti a rielaborare la loro funzione nel mondo: lo scopo dell’arte pittorica non poteva più essere quello di riprodurre delle immagini, poiché uno strumento comodo, veloce e relativamente molto più economico adempiva egregiamente a tale compito.
Da questo confronto, tuttavia, la pittura non ne è uscita sconfitta, come testimonia tutta l’arte di fine ‘800 e del ‘900, dove gli autori si liberano dal peso del dover necessariamente rappresentare la realtà per aprire le porte alle dimensioni più intime dell’interiorità. Nascono così deformazioni, destrutturazioni, allucinazioni e talvolta si giunge a creare mondi e universi completamente nuovi, che accedono alla dimensione del sogno, dell’inconscio e dell’immaginazione.
Ora, come allora, la tecnologia pone all’arte una nuova prospettiva che ne fa vacillare ancora più profondamente le fondamenta: uno strumento che sembra possedere tutte le sembianze di uno scrigno costellato di scintille creative è in grado di produrre contenuti artistici originali in pochissimo tempo, partendo da brevi e mirate indicazioni. Ciò impone al mondo dell’arte una profonda riflessione: tornando nello specifico al caso della pittura, le IA ci mettono di fronte all’evidenza che se in generale lo scopo del dipingere si limita a quello di produrre un’immagine, lo sforzo reso a tale fine non trova più alcun senso d’essere messo in atto. Lo ripeto: oggi l’Arte, per non soccombere all’abbagliante luce emanata dalle IA, deve cambiare volto, poiché il suo scopo ultimo non può più essere quello di produrre contenuti inediti.
Dovremmo forse riscoprire ciò che gli antichi davano per scontato fin dall’inizio dei tempi, infatti l’Arte ha sempre avuto, nella storia dell’uomo, una valenza sacra. Ricordare con le vite dei nostri avi, scritte dentro di noi nel corso delle ere, i tempi in cui le musiche sacre risuonavano con la voce di Dio, e le immagini sacre permettevano di scorgerne il volto. La contemplazione dell’Arte era quell’esercizio alla scoperta di sé nel circostante, al fine di elevare la propria condizione animica e spirituale.
Questa mostra è stata quindi concepita con un duplice scopo. Da un lato vuole essere un invito a riavvicinarsi a questa visione dell’Arte come strumento d’elevazione, dall’altro è un vero e proprio esperimento sociale progettato allo scopo di rispondere alla seguente domanda: siamo ancora in grado di cogliere una differenza tra ciò che è vivo e ciò che non lo è? Siamo cioè ancora in grado di far risuonare le nostre sacre frequenze con quelle emanate da un dipinto in cui sono state incise le fenditure dell’anima di chi lo ha realizzato? A questo scopo, i dipinti che vedrete sono stati realizzati partendo da riferimenti fotografici generati tramite Intelligenza Artificiale, sfruttando la potenza dell’immaginario collettivo da esse sprigionato. Tali immagini sono quindi state convertite in scala di grigio. Partendo da tali riferimenti in bianco e nero i colori che vedete nel dipinto sono quindi il frutto di una personale percezione allucinatoria della realtà, attraverso quei colori che rappresentano i primi archetipi con i quali il nostro magma interiore si manifesta nella proiezione percettiva dell’universo, di cui facciamo ogni istante esperienza e che ogni istante creiamo attraverso questa medesima esperienza. Cionondimeno, questi dipinti sono ulteriormente arricchiti da una trasformazione che ne distorce la forma originaria, attraverso la tecnica del Temporama Alchemico, che ho brevettato quattro anni fa e che ad oggi costituisce l’unico metodo al mondo che, con strumenti squisitamente pittorici, permette di creare un dipinto su tela che si trasforma nel tempo. Sostanzialmente in pittura è stata finalmente abbattuta la barriera della staticità temporale. La pittura non è più ferma ma, come la vita, si trasforma e si corrompe, per poi tornare ciclicamente a nuova fioritura. Il senso di questi ritratti è quello di rappresentare dei frammenti di uno specchio interiore. Quando ci specchiamo, di fronte a noi vediamo in effetti un ritratto: il nostro, che viene proiettato su una superficie bidimensionale con particolari proprietà ottiche che consentono la riflessione dell’immagine. Questa, che è una riflessione fisica, durante l’osservazione di un ritratto si traduce in una riflessione interiore, spirituale se vogliamo. Pensate alla Gioconda: il genio e la perizia pittorica di Leonardo da Vinci hanno creato quel dipinto che, a mio avviso, merita davvero il titolo di quadro più famoso al mondo. Perché Leonardo, con il suo sfumato, è stato in grado di regalarci un volto su cui non è possibile leggere nessuna espressione definita: siamo noi a proiettare la nostra interiorità su quel volto, così se il nostro umore è cupo vedremo una Gioconda malinconica, mentre se siamo felici vedremo una Gioconda distesa e serena. Leonardo ha creato, così, un vero e proprio specchio dell’animo umano, dentro cui ciascuno può osservare un’immagine differente. Con i dipinti del Temporama Alchemico, in effetti, il discorso è lo stesso ma va nella direzione contraria: qui l’osservatore che si riflette in uno di questi ritratti vede un dipinto che, nel corso dei minuti, si trasforma. Se l’osservatore è in risonanza con il quadro, e quindi ha già proiettato in esso parte della sua interiorità, vedendo il suo specchio interiore trasformarsi, di riflesso dovrebbe ricevere questa trasformazione e mutare egli stesso insieme al dipinto. In altri termini il quadro non è più un soggetto passivo ma attivo, in grado di compiere una trasformazione interiore sull’osservatore che entra in risonanza con esso. È proprio questa metamorfosi a racchiudere l’accezione alchemica di questi dipinti, che possono essere considerati su tre piani distinti di realtà: quello della materia, dove una trasformazione molecolare sottende a una trasformazione artistica, la quale provoca infine una trasformazione interiore. Quando ciò avviene il mio compito ha raggiunto l’apice, poiché è questo il vero miracolo. Tornando nel vivo dell’esposizione, nei cinque dipinti che vedrete nulla è casuale: sono tutti fantasmi erranti, allegorie dell’interiorità umana, che cercano la salvezza. La cornice rappresenta l’elemento che a ciascuno di loro manca, e verso la quale dirigono il percorso della propria esistenza. La metamorfosi che compiono, invece, è ciò che conferisce loro la salvezza. Così Leonardo da Vinci, genio vagabondo errante alla ricerca delle proprie radici (rappresentate dal legno nudo della cornice) si salva dalla solitudine diventando la Gioconda: è il Creatore che diventa la sua stessa creazione. Dorian Grey cerca la perfezione e lo splendore dell’eternità (rappresentata dall’oro della cornice, materiale incorruttibile) e si salva dalla noia e dal grigiume di un esistenza agiata ma monotona, trasformandosi in un’immagine del vizio e della corruzione. La Pink Lady cerca la dolcezza dell’amore (rappresentata dal tema floreale della cornice), e da sposa delicata e inerme si trasforma in un mostro divoratore, e sopravvive a una società patriarcale e anaffettiva che altrimenti la annichilirebbe. Vlad Tepes III cerca il calore umano (rappresentato dal sangue della cornice) e si salva trasformandosi da uno dei personaggi più terribili e crudeli della storia in un eroe romantico della letteratura, un mostro solo in apparenza che in realtà è simbolo della durezza degli antichi valori e della disperata ricerca dell’amore degli uomini. Infine, Captain Flint, che cerca la fluidità nell’acqua del mare che naviga per tutta la sua errabonda esistenza (rappresentato dalle tonalità blu e turchesi della cornice) si salva trasformandosi in un Jolly Roger, sublimando dunque la durezza e la rigidità delle sue azioni nel simbolo di sé stesso, della sua battaglia, delle sue passioni.
L’occhio dell’uomo è dunque ancora in grado di cogliere dei barlumi di verità in questa risonanza, in questo vibrare assoluto di reciproche individualità, o invece è questa soltanto una vana illusione e in questo tempo stiamo ascoltando, invero, di quell’arte antica, il canto del cigno.
Proviamo, per un momento, a complicare il problema piuttosto che semplificarlo, e dedichiamo qualche riga a riflettere su cosa si intende per ‘Arte’. Personalmente ho sempre inteso l’Arte come un varco attraverso cui poter accedere ad un contenuto, quasi sempre inconscio e magmatico, che non è possibile esprimere in nessun’altra forma. Concordo, quindi, con chi sostiene che se qualcosa può essere espressa in parole (o in qualsiasi altra forma espressiva non pittorica) non vale la pena dedicata a dipingerla. Con ciò non intendo sostenere che di fronte a un dipinto non sia importante parlare, discutere, interpretare, ma tuttavia il messaggio di un dipinto che sia anche Arte è proprio quel segreto che le parole possono sfiorare, indicare, rincorrere, ma mai cogliere in pieno, nella sua profondità.
Questo perché l’inconscio parla a noi con gesti e simboli che, nella gran parte dei casi, non siamo in grado di riconoscere; e tuttavia quando questi gesti e questi simboli si trasformano in colori, pennellate, forme, luci, ombre, visioni, perfino errori (che naturalmente non sono mai tali), quando insomma si trasformano in un dipinto, abbiamo raccolto quei messaggi in bottiglia dall’oceano interiore e li abbiamo portati alla luce: possiamo leggerli nelle trame di una tela.
E non solo chi dipinge, primo lettore di un messaggio inedito proveniente dai meandri più reconditi del sé, può accedere a tutto questo; anche l’osservatore può rispecchiarsi in questo magma e riconoscere qualcosa di inesprimibile, una corda così profonda che lui stesso non aveva finora ancora pizzicato e che adesso risuona in un’ eco interiore che, in una lingua sconosciuta, prova a dirci che non siamo soli.
Penso che questa ‘goccia di splendore’ possa essere distillata solo attraverso la manipolazione, composizione e visione personale, e che pertanto un’immagine ottenuta attraverso un sistema computazionale iterativo e autocorrettivo come quello delle IA generative ne sia sostanzialmente priva.
L’immaginazione umana tende generalmente a creare nuove immagini pescando dal nostro mare interiore popolato di ricordi, suggestioni e archetipi. Analogamente le Intelligenze Artificiali, accedendo ad un immenso database di fotografie, dipinti e immagini reali per generarne di nuove, sembrano possedere il dono dell’immaginazione ma non quello della poesia, del segreto tanto caro a Ungaretti: il porto sepolto degli ermetisti non è nel cloud. Poiché questo database è condiviso e continuamente rifornito da milini e milioni di utenti ogni giorno, l’immaginazione di cui parlo, per le IA, diviene molto vicina a ciò che generalmente intendiamo quando parliamo di immaginario collettivo.
È dunque una tendenza ad andare oltre il pensiero computazionale ciò che distingue l’uomo dalla macchina. Eppure l’uomo si è dimenticato di possedere questa componente metafisica, l’ha addormentata in un vortice frenetico di automatismi e preconcetti che, come una zavorra, si sono sempre più cristallizzati nel cuore dell’uomo. Per questa ragione ciò che produce un’intelligenza artificiale ci sembra così simile a ciò che potrebbe essere realizzato da altri esseri umani: non sono le IA che realizzano contenuti sempre più vicini all’uomo, è invece l’uomo a divenire sempre più simile ad un’intelligenza artificiale, un automa che si trascina meccanicamente e inconsapevolmente nel mondo, dimenticandosi di sé stesso e della vita che permea l’Universo.
Non vi sembra che in tutto ciò vi sia alcunché di diabolico? Se è questo ciò che avete pensato non vi siete poi così discostati dalla visione di Padre Gabriele Amorth. Il celebre esorcista della diocesi di Roma infatti descriveva il demonio come un’entità iper razionale, che pur non conoscendo il futuro potrebbe prevederlo con la massima attendibilità poiché, come un computer con un’immensa capacità computazionale, sarebbe in grado di elaborare miliardi di dati contemporaneamente ed estrapolarli per prevedere ciò che dovrà accadere.
Stiamo quindi demonizzando le intelligenze artificiali? Nemmeno per sogno! Credo invece che queste, se adoperate con la giusta dose di consapevolezza rispetto ai limiti di cui sono intrinsecamente costituite, possano rappresentare uno strumento rivoluzionario, incrementando in maniera smisurata le potenzialità dell’uomo nell’ambito delle arti e dei mestieri che a lui competono.
In particolare nell’ambito delle arti grafiche siamo ad un punto di svolta, proprio come quando più di 200 anni fa la pittura dovette fare i conti con l’invenzione della macchina fotografica. In quel momento i pittori sono stati costretti a rielaborare la loro funzione nel mondo: lo scopo dell’arte pittorica non poteva più essere quello di riprodurre delle immagini, poiché uno strumento comodo, veloce e relativamente molto più economico adempiva egregiamente a tale compito.
Da questo confronto, tuttavia, la pittura non ne è uscita sconfitta, come testimonia tutta l’arte di fine ‘800 e del ‘900, dove gli autori si liberano dal peso del dover necessariamente rappresentare la realtà per aprire le porte alle dimensioni più intime dell’interiorità. Nascono così deformazioni, destrutturazioni, allucinazioni e talvolta si giunge a creare mondi e universi completamente nuovi, che accedono alla dimensione del sogno, dell’inconscio e dell’immaginazione.
Ora, come allora, la tecnologia pone all’arte una nuova prospettiva che ne fa vacillare ancora più profondamente le fondamenta: uno strumento che sembra possedere tutte le sembianze di uno scrigno costellato di scintille creative è in grado di produrre contenuti artistici originali in pochissimo tempo, partendo da brevi e mirate indicazioni. Ciò impone al mondo dell’arte una profonda riflessione: tornando nello specifico al caso della pittura, le IA ci mettono di fronte all’evidenza che se in generale lo scopo del dipingere si limita a quello di produrre un’immagine, lo sforzo reso a tale fine non trova più alcun senso d’essere messo in atto. Lo ripeto: oggi l’Arte, per non soccombere all’abbagliante luce emanata dalle IA, deve cambiare volto, poiché il suo scopo ultimo non può più essere quello di produrre contenuti inediti.
Dovremmo forse riscoprire ciò che gli antichi davano per scontato fin dall’inizio dei tempi, infatti l’Arte ha sempre avuto, nella storia dell’uomo, una valenza sacra. Ricordare con le vite dei nostri avi, scritte dentro di noi nel corso delle ere, i tempi in cui le musiche sacre risuonavano con la voce di Dio, e le immagini sacre permettevano di scorgerne il volto. La contemplazione dell’Arte era quell’esercizio alla scoperta di sé nel circostante, al fine di elevare la propria condizione animica e spirituale.
Questa mostra è stata quindi concepita con un duplice scopo. Da un lato vuole essere un invito a riavvicinarsi a questa visione dell’Arte come strumento d’elevazione, dall’altro è un vero e proprio esperimento sociale progettato allo scopo di rispondere alla seguente domanda: siamo ancora in grado di cogliere una differenza tra ciò che è vivo e ciò che non lo è? Siamo cioè ancora in grado di far risuonare le nostre sacre frequenze con quelle emanate da un dipinto in cui sono state incise le fenditure dell’anima di chi lo ha realizzato? A questo scopo, i dipinti che vedrete sono stati realizzati partendo da riferimenti fotografici generati tramite Intelligenza Artificiale, sfruttando la potenza dell’immaginario collettivo da esse sprigionato. Tali immagini sono quindi state convertite in scala di grigio. Partendo da tali riferimenti in bianco e nero i colori che vedete nel dipinto sono quindi il frutto di una personale percezione allucinatoria della realtà, attraverso quei colori che rappresentano i primi archetipi con i quali il nostro magma interiore si manifesta nella proiezione percettiva dell’universo, di cui facciamo ogni istante esperienza e che ogni istante creiamo attraverso questa medesima esperienza. Cionondimeno, questi dipinti sono ulteriormente arricchiti da una trasformazione che ne distorce la forma originaria, attraverso la tecnica del Temporama Alchemico, che ho brevettato quattro anni fa e che ad oggi costituisce l’unico metodo al mondo che, con strumenti squisitamente pittorici, permette di creare un dipinto su tela che si trasforma nel tempo. Sostanzialmente in pittura è stata finalmente abbattuta la barriera della staticità temporale. La pittura non è più ferma ma, come la vita, si trasforma e si corrompe, per poi tornare ciclicamente a nuova fioritura. Il senso di questi ritratti è quello di rappresentare dei frammenti di uno specchio interiore. Quando ci specchiamo, di fronte a noi vediamo in effetti un ritratto: il nostro, che viene proiettato su una superficie bidimensionale con particolari proprietà ottiche che consentono la riflessione dell’immagine. Questa, che è una riflessione fisica, durante l’osservazione di un ritratto si traduce in una riflessione interiore, spirituale se vogliamo. Pensate alla Gioconda: il genio e la perizia pittorica di Leonardo da Vinci hanno creato quel dipinto che, a mio avviso, merita davvero il titolo di quadro più famoso al mondo. Perché Leonardo, con il suo sfumato, è stato in grado di regalarci un volto su cui non è possibile leggere nessuna espressione definita: siamo noi a proiettare la nostra interiorità su quel volto, così se il nostro umore è cupo vedremo una Gioconda malinconica, mentre se siamo felici vedremo una Gioconda distesa e serena. Leonardo ha creato, così, un vero e proprio specchio dell’animo umano, dentro cui ciascuno può osservare un’immagine differente. Con i dipinti del Temporama Alchemico, in effetti, il discorso è lo stesso ma va nella direzione contraria: qui l’osservatore che si riflette in uno di questi ritratti vede un dipinto che, nel corso dei minuti, si trasforma. Se l’osservatore è in risonanza con il quadro, e quindi ha già proiettato in esso parte della sua interiorità, vedendo il suo specchio interiore trasformarsi, di riflesso dovrebbe ricevere questa trasformazione e mutare egli stesso insieme al dipinto. In altri termini il quadro non è più un soggetto passivo ma attivo, in grado di compiere una trasformazione interiore sull’osservatore che entra in risonanza con esso. È proprio questa metamorfosi a racchiudere l’accezione alchemica di questi dipinti, che possono essere considerati su tre piani distinti di realtà: quello della materia, dove una trasformazione molecolare sottende a una trasformazione artistica, la quale provoca infine una trasformazione interiore. Quando ciò avviene il mio compito ha raggiunto l’apice, poiché è questo il vero miracolo. Tornando nel vivo dell’esposizione, nei cinque dipinti che vedrete nulla è casuale: sono tutti fantasmi erranti, allegorie dell’interiorità umana, che cercano la salvezza. La cornice rappresenta l’elemento che a ciascuno di loro manca, e verso la quale dirigono il percorso della propria esistenza. La metamorfosi che compiono, invece, è ciò che conferisce loro la salvezza. Così Leonardo da Vinci, genio vagabondo errante alla ricerca delle proprie radici (rappresentate dal legno nudo della cornice) si salva dalla solitudine diventando la Gioconda: è il Creatore che diventa la sua stessa creazione. Dorian Grey cerca la perfezione e lo splendore dell’eternità (rappresentata dall’oro della cornice, materiale incorruttibile) e si salva dalla noia e dal grigiume di un esistenza agiata ma monotona, trasformandosi in un’immagine del vizio e della corruzione. La Pink Lady cerca la dolcezza dell’amore (rappresentata dal tema floreale della cornice), e da sposa delicata e inerme si trasforma in un mostro divoratore, e sopravvive a una società patriarcale e anaffettiva che altrimenti la annichilirebbe. Vlad Tepes III cerca il calore umano (rappresentato dal sangue della cornice) e si salva trasformandosi da uno dei personaggi più terribili e crudeli della storia in un eroe romantico della letteratura, un mostro solo in apparenza che in realtà è simbolo della durezza degli antichi valori e della disperata ricerca dell’amore degli uomini. Infine, Captain Flint, che cerca la fluidità nell’acqua del mare che naviga per tutta la sua errabonda esistenza (rappresentato dalle tonalità blu e turchesi della cornice) si salva trasformandosi in un Jolly Roger, sublimando dunque la durezza e la rigidità delle sue azioni nel simbolo di sé stesso, della sua battaglia, delle sue passioni.
L’occhio dell’uomo è dunque ancora in grado di cogliere dei barlumi di verità in questa risonanza, in questo vibrare assoluto di reciproche individualità, o invece è questa soltanto una vana illusione e in questo tempo stiamo ascoltando, invero, di quell’arte antica, il canto del cigno.
